È con particolare piacere che segnaliamo la pubblicazione di Il cielo sta fuori, la nuova silloge di Francesco Sassetto edita da Arcipelago Itaca, sia perché si tratta di una raccolta perfetta per approcciarsi alla scrittura dell’autore veneziano, sia perché tutti coloro che ne conoscono già la qualità potranno trovarvi conferme e nuovi stimoli e spunti di approfondimento. Il cielo sta fuori, infatti, è un volume corposo all’interno del quale Sassetto ha deciso di riproporre alcuni brani che già facevano parte di pubblicazioni precedenti e di inserirli all’interno di un percorso che comunque si compone principalmente di inediti. Il risultato non ha affatto il sapore di un’antologia: Il cielo sta fuori è un lavoro compatto e coeso, in cui tutti i brani stanno esattamente lì dove devono stare (editi o inediti che siano), e che ripercorre e approfondisce le tematiche principali della scrittura di Sassetto, sia in ambito civile – la sua poesia è infatti costantemente sorretta da una costante tensione etica – sia da quello più strettamente privato e personale. Si tratta di un volume importante, quindi, come confermato anche dal saggio critico di Stefano Valentini che analizza, con precisione e al tempo stesso con affetto, una delle traiettorie poetiche più coerenti e valide degli ultimi tempi.
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Ossario
Nessun silenzio sull’Ossario, nessuna pace
per i trentamila ammazzati sull’Altopiano.
Una fila infinita di nomi sulle lapidi di marmo
lucidato, ossa sparpagliate in loculi giganti,
nella penombra d’una geometria infernale.
Nell’azzurro i soldati sull’attenti a presidiare
il monumento, tricolori al vento, cannoni
e bombarde tutt’attorno, cimeli del macello
ancora puntati sulla valle.
Il busto del Duce sovrasta l’immane cimitero,
lo chiamano Sacrario, capolavoro del regìme,
gli avanzi alla rinfusa del massacro passato
a nutrire quello a venire.
Famiglie in passeggiata, carrozzine e palloncini
colorati, i selfie a immortalare la scampagnata.
Si chiacchiera, si fuma, si levano i maglioni
sudati al sole del primo agosto.
Un sole sbagliato. Un sole fuori posto.
Nota: Si tratta del monumento costruito ad Asiago nel 1936, voluto fortemente dal regime, dove sono state raccolte e tumulate in tombe recanti il nome e il grado, le ossa di circa 30.000 soldati italiani caduti nella prima guerra mondiale, che giacevano sparse in tutto l’Altipiano. Il Sacrario si erge sopra una scalinata alla fine di un lungo viale alberato.
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Capirsi
sarebbe come capire quest’acqua di laguna
che ora corre rapida al maestrale ora lenta
scivola nell’afa, acqua che sa di fiume
e di sale, risale le barene, il suo mistero
di riflussi, la sua quiete apparente.
Stare così, alla riva, osservare il moto
dell’onda che si allarga a tondo nell’aria
sospesa squarciata da grida di gabbiani.
Quest’acqua che ti porti nel cuore e nelle
vene, acqua che non sai e conosci bene,
tu ne ignori i vortici che alzano la melma
del fondo, polvere grigia viene a galla
poi scompare
in un fremito di scaglie di sole.
È in questo balenare il suo grande amore,
il tuo amore di pescatore immobile
a contemplare la voce di questo mare
senza sosta, quest’acqua senza risposta.
È nei tuoi occhi inquieti il senso del tuo indagare
perché l’amore
vive nella tua sete di conoscenza
nella tua ignoranza
nel divenire che non sai
e non puoi capire.
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Sarà questa pioggia lenta
che vela gli occhi e rallenta il tempo,
sarà questo dover vedere cose già viste
sapere ogni passo da dover fare ancora
andare senza passione
nella stessa direzione, che stanca, sfianca,
lasciare ogni mattina il tuo calore
per un’assurda replicazione di gesti e parole,
durare le fatiche senza senso
di un quotidiano galleggiamento.
Senza più aspettare un segnale di terra
o di cielo, un lampo di sole nel cieco
vagare reiteranti salmi e rosari da sgranare
senza più domandare niente agli umani
né a un dio probabilmente amareggiato
di averci amato tanto inutilmente.
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Mi lo so, mama
che ti xe da qualche parte. Ti, svolàda via cussì,
’na fògia desfàda a novembre che se mòla
e se pusa in tèra.
Mi te sento ne l’aria gelàda, ne la pióva,
ne i scalìni de i ponti da far ogni giorno
co la fadìga ne le gambe e l’ànema ingropàda.
Te porto co mi ne le cale de la sera, nel caìgo
de le matìne de véro co camìno ’ste pière dure
’ste strade scure che se incrósa come un labirinto
dove putèo ti me tegnivi per man
e ’ncora desso che vado da solo in mezo al vódo,
me tegno stréte nel pugno le to parole, la bussola
che ti me ga lassà
Io lo so, mamma
che sei da qualche parte. Tu, volata via così, / una foglia disfatta a novembre che si stacca / e si distende a terra. // Ti sento nell’aria, nella pioggia / nei gradini dei ponti da fare ogni giorno / con la fatica nelle gambe e l’anima chiusa in gola. // Ti porto con me nelle calli della sera, nella nebbia / delle mattine di vetro mentre cammino queste pietre dure / queste strade scure che si incrociano come un labirinto / dove bambino mi tenevi per mano // e ancora adesso che vado da solo in mezzo al vuoto, / tengo strette nel pugno le tue parole, la bussola / che mi hai lasciato.
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Essere ospitati su Perigeion è per me sempre un onore e una gioia, grazie quindi a tutta la redazione per la generosa accoglienza. Un grazie enorme a Francesco per le sue importanti ed affettuose parole, per l’amicizia e la stima reciproca che ci lega da molto tempo, la sua scelta di questi testi in particolare cui sono molto legato e spero parlino anche a chi vorrà passare qui. Un grazie, infine, a Giorgio Galli per la Nota da lui dedicata a questa raccolta in occasione dell’ultima edizione del premio “Bologna in Lettere”. Tutti segni preziosi di attenzione che aiutano a riflettere ed a crescere, a ripensare ciò che stiamo facendo e – me lo auguro – a migliorare. Un abbraccio. Francesco
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piacere di ritrovare le sue poesie, grazie.
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Grazie! Felice io di essere ancora qui!
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Francesco è uno di quegli autori che mi piacerebbe avere a portato di mano per le letture di poesia che organizzo in Piazzale Corvetto a Milano. La sua profondità rimane comunicativa. Si apre al mondo anche quando rimane intima.
Grazie
Nino
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Grazie Nino! Le tue bellissime parole mi commuovono. Francesco
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