perìgeion

un atto di poesia

La nuova voce poetica di Antonio Alleva

A sette anni di distanza dalla precedente raccolta (Ultime corrispondenze dal villaggio, Ponte del Sale, 2006) torna la voce di Antonio Alleva, poeta abruzzese che anche i lettori di questo blog già hanno avuto modo di conoscere per altri suoi interventi e pubblicazioni di poesia: è infatti da poco uscito per Puntoacapo editrice il suo nuovo libro che rappresenta una doppia novità: da un lato perché segna il ritorno in libreria di una voce poetica unica e sommessa, dall’altro perché il libro ne contiene… due: Cronache di fine Occidente e La Collina del Dingh (Puntoacapo editrice, Novi Ligure (AL), pp. 156). Si tratta infatti di una vera e propria sfida editoriale ovvero la pubblicazione di due raccolte nel medesimo volume, due raccolte certamente autonome ma allo stesso tempo contigue, come le rotaie di un binario che corrono parallele, indipendenti ma coessenziali.

Ma a spiegare meglio questa particolarità è l’autore stesso, in una recente intervista realizzata da Massimo Ridolfi per il giornale online Certastampa.it (qui è disponibile l’intervista completa https://certastampa.it/cronaca/55542-l-incontro-antonio-alleva-poeta-e-campione-della-gimcana-del-pane.html), con queste parole:

«(…) il doppio titolo di questo nuovo libro segna un passaggio importante della mia opera di ricerca e di scrittura, e inaugura un ciclo diverso nella mia vita. Dal Villaggio – luogo carico di emozioni e di lentezza –, mi sposto e amplio il punto di vista sul mondo. Con uno sguardo più politico, dico la mia sulla palese crisi dell’Occidente, da qui il titolo della prima parte del volume, Cronache di fine Occidente; mentre nella seconda parte salgo su una nuova altana, su un nuovo punto di osservazione, La Collina del Dingh. Tengo a precisare che i miei non sono mai libri concettuali, programmatici, scritti a tavolino. Tutto quello che si raccoglie negli anni è solo il naturale risultato del vedere e del sentire mentre ogni giorno si vive. Quindi è il vivere il collante dei miei libri, non certo l’idea. Cronache di fine Occidente è da intendersi come la testa di ponte che mi permette di collegare – in senso retrospettivo e, appunto, naturale, cioè senza ricorrere ad artifici letterari e intellettualistici, che non mi appartengono in alcun modo – Ultime corrispondenze dal villaggio a La Collina del Dingh. La collina del Dingh è un non luogo ideale ma molto preciso: è il luogo della domanda che alza il tiro, o almeno ci si prova».

Già queste parole mostrano in modo chiaro il parallelismo delle due raccolte, che si sviluppano in dialogo tra loro e cariche di rimandi reciproci (figure, immagini, luoghi, nomi comuni), mantenendo ciascuna autonomia, direzione e prospettive proprie, entrambi scritte nel consueto linguaggio piano e ricco di musicalità, in un impasto di dolcezza e colloquialità che abbiamo imparato a conoscere dalle precedenti prove poetiche dell’autore.

Il volume riporta in copertina il particolare di un’opera di Sergio Florà, poliedrico artista anch’egli abruzzese, Bozzetti per un nuovo umanesimo, e due sono le note critiche a corredo dell’opera e che già in copertina presentano il volume, di cui qui riportiamo qualche stralcio.

La prima, di Lorenzo Gattoni, redattore di Perigeion, accenna a Cronache di fine Occidente:

«Primo libro di una sorta di unicum editoriale – una doppia pubblicazione nello stesso volume – Cronache di fine Occidente ci porta dritti nel cuore del nostro tempo: “… babbo mi dicono che la nostra civiltà sta tramontando”. Tra minacce di default e liquefazione dei legami sociali, è sotto gli occhi di tutti come la distruttiva sinergia delle crisi – economica e ambientale, sanitaria (pandemia) e militare (guerra) – stia erodendo lo spazio pubblico e le nostre vite. (…) Tra malinconia e smarrimento, tra amarezza e lucidità, emerge netta la traccia del compito immane che ancora ci attende, perché “qui il problema resta come uscire da questa razza”».

La seconda nota è firmata da Marco Munaro, prestigioso editore di poesia con le edizioni Ponte del Sale, nonché editore della precedente raccolta di Alleva, che con le sue parole verga una sorta imprimatur:

«(…) Cronache di fine Occidente e questo La Collina del Dingh costituiscono un dittico: sempre il villaggio e il mondo (la madia e l’astronave), ma visti ora, sul far della sera, con una nostalgia struggente e pacificata, mentre appaiono, tra le stelle polari dei maestri, le care figure famigliari e il sé bambino. E qui Alleva trema e canta, insieme ad ogni filo d’erba, lo stupore di vivere. La gioia è l’altra dominante tonale del libro, e la nenia, il colloquio, la supplica, l’inno finiscono per testimoniare il valore spirituale più alto dell’uomo, oltre l’uomo, la tensione verticale che, dalla croce all’altalena, dal suono al Silenzio, interroga e ama ogni singola cosa».

Un unico volume e due raccolte dunque ma anche – come si intuisce da queste note introduttive – due percorsi distinti, ciascuno con titoli e indici ovvero tappe e stazioni di sosta uniche e differenti. Da segnalare anche che, in entrambe le raccolte, tra ogni sezione e la successiva l’autore aggiunge degli omaggi (ai fratelli, alle sorelle e ai Maestri) citandone altrettante poesie in una sorta di dialogo ideale con altri mondi poetici a lui affini.

Cronache di fine Occidente, primo libro del volume, è giocato su un tono intimista, quasi diaristico, con una venatura introspettiva e meditativa, in una sorta di dialogo interiore che a tratti prende la forma della riflessione esistenziale sul presente, con punte a volte sentimentali, altre ironiche, a tratti la forma della denuncia di una condizione umana e sociale sempre più instabile, a tratti quella del tributo agli affetti e alle relazioni: frequente anche in questa raccolta– sulla scia della precedente Ultime corrispondenze dal villaggio – è il richiamo al villaggio, epicentro reale e figurato della poetica di Alleva, in un gioco di equilibri tra locale e globale, tra mondo interiore e mondo esteriore, che da sempre trama la sua scrittura. Ma se il termine cronache lascia intendere una sorta di distanza e di neutralità, il tema annunciato nel titolo, cioè la fine dell’Occidente, accompagna tutto il percorso che si snoda di poesia in poesia.

La Collina del Dingh, secondo libro, gode invece ed è frutto di una visione prospettica e per questo motivo esprime una maggiore ampiezza e profondità, è a suo modo estroverso, cioè rivolto all’esterno e a ciò che dalla collina, nuovo privilegiato punto d’osservazione – «la nuova altana», riprendendo le parole dell’autore –, si può vedere, lì dove il soggetto giunge e ruota lo sguardo attorno per ambientarsi nella sua nuova collocazione, a partire dalla condizione di elevazione offerta dalla collina, alla ricerca di una «mappatura del territorio» e di nuove coordinate. La raccolta muove e promuove dunque uno sguardo di tipo nuovo e allargato sulla realtà, e si propone più assertiva, problematica, dubitativa, presentando riarticolato e arricchito il sentimento di sempre, cifra stilistica ed emotiva della sua scrittura, ovvero la capacità di convocare e convogliare nei medesimi versi salti temporali tra passato e presente, linguaggio alto con punte liriche e basso con innesti di parlato (e incursioni nel dialetto), interno ed esterno, tana e microfono (per richiamare la sua ancora precedente raccolta La tana e il microfono, Joker, 2008). La Collina del Dingh è un luogo dove spira e canta un’aria nuova e fresca, e inaugura l’inizio di un viaggio dentro un nuovo orizzonte.

Importante infine è segnalare il ritorno del “personaggio” di Batine (Sebastiano) e delle sue chjacchjarate (chiacchierate), cioè una intera sezione di poesia dialettale (con versione in italiano a fronte), segno sia di continuità con il precedente Ultime corrispondenze dal villaggio, dove Batine compare per la prima volta, sia perché permette di valorizzare la poesia dialettale di Alleva e di affermarla come elemento non più soltanto occasionale del suo mondo poetico.

Da lettori potremmo pensare, considerando alto il rischio di confusione e/o di sovrapposizione, che scrivere due raccolte in parallelo non sia stato facile per l’autore, va a suo merito quindi essere riuscito a ultimare entrambi i piani di scrittura, così come un plauso va attribuito all’editore che ha raccolto la sfida di questa doppia pubblicazione.

Non resta che – proponendo qui di seguito alcune poesie tratte dal volume – augurare buona lettura!

Da Cronache di fine Occidente

Alma, Bataclan. Prova d’esame con ultimo appello

Alma, 13 mesi 3 chili e rotti

e quegli occhioni roteanti

quasi più grandi

del musetto scheletrito tra l’ebano e il caffelatte,

e il lindore del lenzuolo bianco, almeno quello

e almeno un’amorevole, materno indice di Emergency:

 piano, Alma, piano

      le poggia la pappa sulle labbra

all’unisono Parigi, Bataclan

che solo il suono evoca il suono del kalašnikov,

 l’orrore di Kurtz

a che pro, idioti, ancora ceri ancora fiori

ancora lacrime ancora ventoline tra le mani?

L’ultimo appello era elementare

 descrivete l’intima relazione

tra Alma il Bataclan l’orrore di Kurtz l’inesistenza di dio

e ancora una volta – scacco matto –

avete riconsegnato il foglio in bianco.

Il puer col binocolo d’oro

Guardo ancora questa vecchia marina

in piena rivoluzione degli acquerelli

un cielo           che non ti sto qui a dire

un mare           che non ti sto qui a dire

dirò invece del puer col binocolo d’oro

della sua piccola barca

torbairlanda e celestealgarve

eccolo

ritto al centro della tolda

sorriso biondo e fasciaturo di lino bianco

un coraggio pazzesco una mira precisa

uno sguardo da lupo di mare oltre il largo del largo

punta deciso verso la nuova isola

che ancora non è certo se davvero non c’è.

Che sia benedetto. Chiusura

Chicchirichì. Potente nelle valli

l’eco dell’imperiale Shangai*

più che un gallo sembra un’aria per trombe e sopranini

un buongiorno al prozac

per questo mondo sempre traviato

più che note sillabe d’oro

suoni a colori, nuovissimi nomi:

Alma Zinèb Raissa

Hong-li Rumiana Alida Wisława

Liv Emily Fanny Carmen Marlene

e Cate e Uma e Tilda.

Ecco. Adesso tocca a voi.

Accerchiati l’uomo e il suo default

e tutto il maschile del loro dio.

* Il gallo Shangai: protagonista di un racconto di Herman Melville.

Da La Collina del Dingh

L’edera e il canyon

Ogni tanto

diciamo ogni venticinque anni

riprovo con l’arco d’una nuova parola

a centrare il tuo vero nome

tipo il polpastrello dell’indice

poggiato piano piano sulle labbra

tipo la mano

che salendo dalla guancia gioca coi tuoi capelli

tipo le bocche i corpi

mentre il cuore quasi ci scoppia

tipo la penombra la vertigine dei respiri

avvinghiati al rossore all’incenso dei profumi

tipo tutta una vita a cercare

una pace, a dirimere il dissidio

tra gala e eremo

tra edera e canyon.

Llu bivjie [versione in lingua madre dell’autore]

O Batì t’arcurde llu bivjie?

Iahème a pite faceve calle

lu calle crëlleve e cë mëttò n’giambanelle:

a sënësctrë o a desctre?

Pë n’ammonde o pë n’abballe?

Giustamende cë fërmimme nu mumende,

ci‘alluchimme sotte a lla lëve, bëvimme,

arraggiunimme Batì, arraggiunimme

ma n’arscimme arcapà lla fazze:

allore facimme capà all’anëmë a la maravëjë

a la giuvëndù

e cë lu sa Batì së sbajmme, o së ci’azzëcchimme.

Quel bivio [versione in italiano]

O Batì, ricordi quel bivio?

Andavamo a piedi faceva caldo

il caldo scrocchiava e ci confuse la mente:

a sinistra o a destra? in su o in giù?

Giustamente ci fermammo un momento,

ci sedemmo sotto a quell’ulivo, bevemmo,

ragionammo Batì, ragionammo

ma non riuscimmo a trovare il bandolo:

allora lasciammo che scegliessero l’anima la meraviglia

la gioventù

e chi lo sa Batì se sbagliammo,         o azzeccammo.

Noemi e Mariarosa

Fosse per me

lo imiterei, dio,

divorerei rami e radici

dell’albero genealogico di tutte le religioni.

Mi si è abbarbicata al collo

nessuna lacrima nessun lamento

era solo che non riusciva a dormire

ha teso le braccine come a dire

nonna nonna, non mi lasciare.

Adesso passeggiamo in notturna

lungo il corridoio di oncologia pediatrica

in questo portofranco sospeso tra il guardingo e l’ovatta

passeggiamo guancia su guancia nasino su spalla

calore su calore, che se fosse per noi

divamperebbe all’istante l’incendio

Noemi, mesi ventisette.

Passiamo davanti alle camerette

sussurri e riverberi bluette

lucine rosse gialle verdi che lampeggiano sugli schermi

poi ci fermiamo davanti a questa grande vetrata

davanti a una Milano trapuntata di luminarie e di stelle:

la stringo più forte, la custodisco

come fosse lei la bambina di Betlemme.

La rosa

esile, basterebbe un soffio

filo di funambolo il confine

tra un’intera storia umana

che per l’ennesima volta si rialza

raccoglie di nuovo una rosa

e l’annusa, ancora la riannusa

mentre un’altra storia

se ne resta schiacciata per terra

a braccia spalancate

con tutto quel peso tra la nuca e la schiena

labile, basterebbe un soffio

tra due palpebre che ancora reclinano

sulle narici, sulle papille che affondano

nel profumo, nell’insperato di una nuova resurrezione

mentre lo stridore, secco e supersonico

nel preciso silenzio del prima e del dopo

nel fragore dell’eco dell’aria che oscilla

lo stridore

tra la fune la trave

e l’ultimo respiro.

Il soffio

Eppure cara, nonostante tutto

il momento più dolce di ogni mia giornata

la vigilia

d’ogni mio quotidiano segreto Natale

    è il soffio

al principio di ogni notte

il soffio di quando ci tiriamo su il lenzuolo

fin sotto la bocca

e poi i pigiami

e poi il tepore

quel tepore che ha attraversato i secoli dei secoli

e che noi ormai usiamo come un fortino

mentre fuori i fili d’erba continuamente tremano

e anche se poi la mano non dovesse né stringere

né sfiorare la mano

non fa nulla, va benissimo così

va benissimo così questo dileguarsi

questo porto franco questa briciola di paradiso

    e benedico

questa luce azzurra che filtra, questo silenzio

e i sogni la pena l’utopia

soffiati via dai nostri esili respiri.

Antonio Alleva è nato a Nocella di Campli (Teramo), il villaggio-altana protagonista dei suoi primi tre libri, e vive attualmente a Giulianova Lido.

Ha pubblicato Le farfalle di Bartleby (Tracce, Pescara, 1998; Camaiore Proposta 1999), Reportages dal villaggio in 7 poeti del Premio Montale 2000 (Crocetti, Milano, 2001), La tana e il microfono (Joker, Novi Ligure (AL), 2006) e Ultime corrispondenze dal villaggio (Il Ponte del Sale, Rovigo, 2016).

Suoi interventi e sue poesie, come ricordato, sono presenti in questo blog (vedi qui https://perigeion.wordpress.com/?s=antonio+alleva).

2 commenti su “La nuova voce poetica di Antonio Alleva

  1. vengodalmare
    25/03/2023

    Sono proprio belle le poesie proposte (il libro sarà molto interessante), mi è piaciuta particolarmente l’ultima poesia Dalla collina del Dingh (come sale il ritmo e risuona e infine si attenua!).

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