di Francesco Tomada
Che Francesco Sassetto fosse una delle voci più forti della poesia civile contemporanea, intesa nel senso migliore del termine, era già emerso con chiarezza dalle precedenti raccolte Ad un casello impreciso (Valentina Editrice, 2010) e Background (Dot.com Press, 2012); Stranieri, la nuova raccolta dell’autore veneziano edita nuovamente per Valentina Editrice, è dunque una conferma importante, approfondisce molte delle tematiche delle opere che l’hanno preceduta e al tempo stesso delinea ancora con maggiore nitidezza lo spessore ed il valore della poesia di Sassetto.
Stranieri è diviso in tre sezioni: Aqua alta, la prima, vede la prevalenza dell’uso del dialetto ed osserva la realtà di Venezia, dove realtà non è soltanto un luogo geografico spesso mercificato al punto tale da incrostarne le tradizioni, ma anche il mondo degli affetti, una madre malata, una serie di figure che l’attualità convulsa sembra avere emarginato, il mondo del lavoro (che per Sassetto è quello della scuola) dove ormai la burocrazia ha prevalso sull’attenzione vera nei confronti degli studenti come persone.
Da qui a un’altra acqua, ad Altri annegamenti – che è la seconda sezione – il passo è breve. Gli Altri annegamenti non solo soltanto quelli legati al dramma dei migranti, di cui Sassetto però sente forte e incombente il dovere della testimonianza, ma prima ancora quelli privati, come una degenza ospedaliera, un femminicidio, tutte quelle situazioni o scelte di vita che impongono una presa di posizione, oppure ancora, come scrive l’autore, una “collezione personale / di fallimenti e omissioni / atti mancati, sbagliati e reiterati” davanti a cui ogni individuo avrebbe il dovere di cercare la cosa giusta, o quantomeno di evitare la tragedia vera che è quella dell’indifferenza. Anche nei momenti più amari, perché la visione di Francesco Sassetto è indubbiamente amara, anche quando dichiara una resa, si tratta però di una poesia che, nel suo stesso esserci, gridare il dolore, reclamare uno spazio è già una forma di resistenza e dunque di speranza, una fiamma tenuta accesa proteggendola con le mani contro il vento.
Per questo la terza e ultima sezione, Stranieri, è molto di più che una serie di ritratti individuali o collettivi sugli immigrati in Italia e, più in generale, uno sguardo attento sul fenomeno dell’immigrazione (e va sottolineato che Francesco Sassetto, in questo, dimostra una scrittura attenta alle profondità umane senza nasconderne pregi e difetti, e in ciò è decisamente lontano da quell’afflato buonista che rende didascalica molta poesia civile). Stranieri sembra, piuttosto, una definizione che si allarga a tutti, che accomuna chi in questi luoghi ha sempre vissuto, e magari ne viene via via escluso, e chi invece vi è appena giunto e deve fronteggiare la propria e l’altrui capacità di adattarsi. Al tempo stesso, però, è proprio in questi che oggi appaiono come margini di umanità priva di radici che rinasce a fatica un messaggio di speranza: è qui che “le frasi fatte… / sono da cancellare”, e che “la verità è tutta da cercare, qui è tutto da ascoltare / tutto da imparare”, esattamente come dovrebbe accadere nella nostra quotidianità, esattamente come si verifica in questo libro diretto e prezioso.
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E ti te vardi indrìo
qualche volta
ti te fermi un minuto a pensàr e
ti vedi ’sto vodo grando
che s’ingióte tuto, un mùcio
nero sensa più nomi né vose
qualche luse sì, ’na giossa
de sol che se ga impissà par un fià, ti te la ricordi
apena ormai tanto smarìa
ne l’ànema covèrta de caìgo.
Ghe sarà qualchidùn,
un cielo ciaro più in su de ’sta capa de fumo,
de ’sta piova che sbrìssa su le pière
e strassìna via fògie finìe
e pòlvare e grumi de pòcio.
Ghe sarà qualchidùn sì,
un mago co la bala de vero, sconto
in qualche cantón, che conosse i parcossa e
i parcome, che sa el senso de ’sto baracón
’sto córar su e zo, ’sto fredo
indosso,
ma mi no go mai capìo e anca ancùo che vado
da novo avanti e indrìo
buratìn da do schèi
no go ’ncora capìo.
E ti guardi indietro (dialetto veneziano).
qualche volta/ ti fermi un minuto a pensare e/ vedi questo vuoto grande / che inghiotte tutto, un ammasso/ nero senza più nomi né voci/ qualche luce sì, una goccia/ di sole che si è accesa per un po’, la ricordi/ appena ormai tanto sbiadita/ nell’anima coperta di nebbia.// Ci sarà qualcuno,/ un cielo chiaro più alto di questa cappa di fumo,/ di questa pioggia che scivola sulle pietre/ e trascina via foglie morte/ e polvere e fango.// Ci sarà qualcuno sì,/ un mago con la sfera di vetro, nascosto/ in un angolo, che conosce i perché e/ i percome, che conosce il senso di questo baraccone// questo correre su e giù, questo freddo/ addosso,/ ma io non ho mai capito e anche oggi che vado/ ancora avanti e indietro// marionetta da due soldi// non ho ancora capito
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25 aprile 2015
Ma l’hanno letta negli occhi dei morti
E sulla terra faremo libertà
Ma l’hanno stretta i pugni dei morti
La giustizia che si farà.
Franco Fortini
Nissùn
né sindaco, un assessór, né gente
ingrumàda su la Riva ai Giardini
davanti a éa
co i oci lustri e un gropo in gola.
La Partigiana (1) sta là abandonàda, covèrta da le onde
de i vaporéti che sbate su l’imbarcadèro
destiràda su quatro tòchi de marmo squadrà,
un brasso drito a mostràr un domàn
che no xe mai rivà
e fis-ci in alto de cocài, sprussi de s-ciùma
sora el so bronzo
incrostà de alghe marsìe e de sal.
La Partigiana xe aqua e silensio.
’Na coronsìna di fiori butàda là, chissà da chi,
studenti dopo ’na festa o un vecio
che no ga desmentegà.
La vendarà a qualche americàn.
25 aprile 2015 (dialetto veneziano).
Nessuno/ né sindaco, un assessore, né gente/ raccolta sulla Riva ai Giardini/ davanti a lei/ con gli occhi bagnati e un nodo in gola.// La Partigiana sta là, abbandonata/ coperta dalle ondate/ dei vaporini che cozzano sull’imbarcadero/ distesa su quattro pilastri di marmo squadrato,/ un braccio teso a mostrare un avvenire/ che non è mai arrivato// e fischi in alto di gabbiani, flussi di schiuma sul suo bronzo/ incrostato d’alghe marcite e di sale.// La Partigiana è acqua e silenzio.// Una coroncina di fiori gettata là, chissà da chi,/ studenti dopo una festa o un vecchio/ che non ha dimenticato.// La venderanno a qualche americano.
(1) Il monumento alla Partigiana venne realizzato nel 1961 dallo scultore Augusto Murer per ricordare il movimento partigiano a Venezia, in particolare tutte le donne che lottarono per liberare la città dal nazifascismo. Si tratta di una statua in bronzo che raffigura una donna distesa a terra; il basamento, su cui poggia la scultura, fu realizzato da Carlo Scarpa e fu posto su un livello più basso rispetto a chi la osserva dalla riva.
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Natale 2014
Dovrei smettere di fumare, ho due stent piantati nel cuore e
il fumo fa male e anche questo mattino di luce imprecisa,
andare e tornare ogni giorno uguale
stanca e fa male.
Accanto una donna mi accompagna e sorride, ci diamo
la mano quando il respiro manca e ci sono ancora scale
da fare e non so se costa più fatica scendere o salire
nel breve tempo che rimane, quanto tempo avanza
me lo chiedo a ogni risveglio
e come sarà l’ultimo sguardo,
una contrazione, un pallore e basta,
schianto o scivolamento
l’ho visto negli occhi di mia madre
questo andare via definitivo, nella sua mano che si allentava
come quando il pensiero è altrove e nulla più rimane.
Le strade piene di gente, si sale a massa sul bus
delle sette che ingoia odori di lingue diverse, voci
straniere nel silenzio di gelo di un’alba ancestrale o
preludio di una fine, teste chine, occhi smarriti,
un padre insegna al figlio a tirare bene i pugni,
perline e collanine, tatuaggi, anelli alle narici,
geroglifici insondabili, labirinti di solitudini allo specchio,
iphone e cellulari, assenza di connessione, nessuna
lingua comune tra i viaggiatori, un ruminare sordo
i detriti di un alfabeto in estinzione, uno scossone,
stridore di gomme sull’asfalto bagnato alla fermata.
Si scende, si va tutti nella corsa elettrica quotidiana,
si va al lavoro,
si dorme, si mangia, a volte si fa l’amore
qualcuno sogna ancora qualcosa o solo intravvede
nella notte ombre di passaggio, fantasmi
di altre età, residui da eliminare con lo spazzolino e
il filo interdentale qualcuno dice
che dovrà arrivare un salvatore
lo dico anch’io
ma temo giunga un altro carnefice sorridente,
messia di qualche nuova forma del dolore.
***
Inventario
E noi qui a contemplare la nostra collezione personale
di fallimenti e omissioni
atti mancati, sbagliati e reiterati.
E facciamolo questo inventario della nostra inconsistenza e
lasciamolo là sul comodino, per i notturni rendiconti
a buon mercato
lasciamolo nel cuore appisolato,
scordata ogni passione nel torpido fluire di ogni giorno.
Finiremo così anche noi, amici di questo tempo sordo.
Noi che siamo scampati a molte barricate, alle zanne feroci
del mastino, ad ogni tipo di alluvione, costruttori
per noi stessi e stretti congiunti, abbiamo serrato
porte e balconi, recintato le nostre abitazioni, spettatori
d’altri annegamenti, pronti a cambiare canale
quando l’orrore diventa abituale,
sempre bravi a dire noiàltri cossa podémo far? (1)
Noi qua a registrare la dissoluzione di ogni idea e ideale,
orfani di padri e di guide a mostrare l’Inferno
e la via per passare demoni e gironi, noi ciechi
senza più bastoni a cercare il muro che adesso ci stringe
nell’afa del non essere e non fare
malati di prudenza e disamore
signori immobili dell’indifferenza.
Ce ne andremo così, con i nostri amati libri non adoperati,
i letti da rifare, le credenze gonfie di roba da mangiare.
Andremo nella notte sempre più nera
la notte che ci ha sempre aspettato
con le sabbie mobili alla gola
e le mani pulite di Pilato.
(1) noi cosa possiamo fare?
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Autobus n°7
Qui, nel recinto disegnato da via Piave e
Cappuccina, proprio qui, alle porte di Mestre,
s’è insediato l’avamposto del non occidente,
sono sbarcati da tempo i non desiderati.
Hanno piantato saldamente speranze e tende,
a migliaia, senegalesi e marocchini, indiani,
cinesi e bengalesi, ucraini, moldavi,
rumeni e albanesi. Qui lingue strane
e voci sconosciute, alfabeti lontani, gesti
e segni d’altri pianeti, sorrisi lunghi e
sguardi biechi, colori sgargianti e tuniche
bianche ondeggianti contro il grigio opaco
dei casermoni in fila nati dall’asfalto.
Passa lentamente il sette scivolando
tra i crocchi affabulanti degli scampati
che qui amarrano come burrasca che
non s’arresta, come tempesta, alluvione
che travolge certezze e possessi dati
per scontati, tra le proteste dei residenti
e le grida dei giornali all’invasione.
In quattro laterali sono nati quattro
centri cinesi Benessere e Massaggi,
rilassamento a quattro mani più servizi
addizionali, a prezzi popolari.
I nuovi arrivati hanno comprato case e
negozi svenduti dai precedenti abitatori
fuggiti altrove e ora si sta tra kebab,
telefonia e copisterie mediorientali, pulitrici
a secco bengalesi, sarti indiani, librerie
di corani e preghiere musulmane. In fondo
a via Aleardi una moschea, un’altra a destra
di via Dante, la sera prostitute nigeriane
in fila ai marciapiedi, nei bar gli schiavisti,
i connazionali, a vigilare contrattazione
e pagamento, il loro tornaconto di feroci
padroni del terrore e dello sfruttamento.
Nel sette si respira la paura dell’animale
braccato senza via di fuga, occhi attenti
a scansare gli occhi dei migranti, odori aspri
di pelli e vestiti dei nemici, si respira
silenzio e ostilità, tacita avversione, ansietà,
si viaggia tutti a batticuore, tutti ignoranti,
stranieri e distanti, nella notte,
tutti senza amore.
***
Shakil
L’astuzia bengalese nel magazzino pianterreno, fradicio
e malsano ma tacà de la Piassa (1), quattro metri
quadri di cartongesso e stucco
e un monte de porcàe,
màscare, gondoléte, palassi e ciése ne le bosse
de vero co la neve da véndar ai foresti
che là s’ingrùma e compra e impegnìsse
le sporte de scoàsse a un euro el tòco (2)
e Shakil può contare ogni sera seicento euro
di fatturato col benestare del governo comunale,
ufficio igiene e polizia municipale.
Màstega poco italiàn, Shakil, ma ga capìo ben qua
cossa xe da far par far presto i schèi (3), sorrisi e
faccia tosta e qualche busta nella tasca giusta.
Shakil non prega Allah né altro dio, musulmano
per convenienza, avrà presto in moglie
una fanciulla bengalese ben dotata, le trattative
sono già avviate, perché Shakil vende allo straniero e
compra al connazionale
se l’affare è conveniente, se la sposa
da assegnare è come il suo cliente
ricca, docile e obbediente,
Shakil da Dhaka
nelle vene il sangue del vincente.
(1) molto vicino a Piazza San Marco
(2) e una montagna di ciarpame,/ maschere, gondole in miniatura, palazzi e chiese nelle bocce/ di vetro coperte di neve da vendere ai turisti/ che là si ammassano e comprano e colmano/ le borse di immondizia a un euro il pezzo
(3) Mastica poco l’italiano, Shakil, ma ha capito bene qua/ come comportarsi per fare soldi in fretta
***
Assira
E il tuo Marocco adesso è terra di sale, da dimenticare,
il tuo nome è oltraggio, bestemmia da non pronunciare.
Fuggita da una legge infernale che ti ha voluto
sposa e madre a sedici anni, tuo figlio donato
al fratello privo di prole perché è così che là impone
un padre padrone e la tradizione. Sparito il marito,
il tuo giovane corpo da riaffittare al miglior offerente.
Sei fuggita una notte in barcone verso l’Italia, l’ignoto,
cercando la vita a occidente. Qui infine un approdo,
un odore vago di liberazione, qui sola, senza sapere
le nostre parole, senza documenti,
clandestina di nuovo braccata, nascosta
per mesi in case segrete
e di nuovo paura e buio di porte sprangate.
Poi quasi per caso un varco, una luce, un lavoro
e oggi puoi venire a scuola, una vita intera
da riguadagnare, da strappare
all’abisso che da sempre accompagna i tuoi passi.
Assira ora scrive la sua cupa storia tutta d’un fiato
due pagine piene
come sciogliere un ansimo al cuore, un laccio alla gola
una ferita ad ogni parola.
Una ferita antica da dover medicare, da mettere incisa
sul foglio, per ricordare
per dimenticare.
***
Manifestazione a Mestre
Hanno chiesto le donne musulmane un orario personale
per nuotare alla piscina comunale
un’ora, la domenica, ad ingresso riservato
l’autorità si è detta ben disposta a firmare l’autorizzazione
in nome dell’accoglienza, dell’apertura alla diversità
il governo cittadino ha detto sì rapidamente e
rapidamente si è defilato.
E ora sfila feroce la manifestazione, le donne velate
armate di verità e concessione istituzionale, i mastini
di Forza Nuova a impedire il passo,
insulti, sputi e derisioni
la polizia pronta a intervenire, la popolazione ha occhi
di stupore, si divide sul torto e la ragione.
S’alzano le grida, cresce confusione e smarrimento
tutto s’annebbia, si spegne la ragione.
Oggi a Mestre è guerra di religione.
S’ingrossa il corteo musulmano e canta in coro e la milizia
di Forza Nuova prende nuova forza,
sfida le truppe dei centri sociali schierate
nella difesa ad oltranza della causa santa.
La legge, l’autorità è assente, la gente boccheggia,
si dice qua e là di incontro di civiltà,
tolleranza e integrazione
uomini e donne di buona volontà.
Qui si appresta la prova generale
il preludio del massacro che si farà
globale nel rispetto vintage di ogni cultura,
nell’ossequio vile ad ogni pensiero, credo e religione
qui si dà ragione per pigrizia e comodità
si benedice l’orrore che verrà.
***
Francesco Sassetto risiede a Venezia dove è nato nel 1961. Laureato in Lettere nel 1987 all’Università “Ca’Foscari” di Venezia, la sua tesi è stata pubblicata nel 1993 dall’Editore Il Cardo con il titolo La biblioteca di Francesco da Buti interprete di Dante.
Ha collaborato alla cattedra di Filologia Dantesca, con attività didattica e di ricerca, conseguendo nel 1998 il titolo di dottore di ricerca in “Filologia e Tecniche dell’Interpretazione”. Ha insegnato Lettere nella scuola media e, attualmente, è docente di Italiano presso il C.t.p. (Centro territoriale per l’educazione in età adulta) di Mestre.
Scrive componimenti in lingua e in dialetto veneziano che hanno ricevuto numerosi premi e segnalazioni. Ha partecipato a presentazioni, incontri e pubbliche letture, anche in ambito scolastico. Suoi testi sono presenti in antologie, riviste, siti internet e blog letterari.
Ha pubblicato le raccolte di poesia: Da solo e in silenzio (Milano, Montedit 2004) con prefazione di Bruno Rosada, Ad un casello impreciso (Padova, Valentina Editrice, 2010) con prefazione di Stefano Valentini, Background (Milano, Dot.com Press-Le Voci della Luna, 2012) con prefazione di Fabio Franzin, Stranieri (Padova, Valentina Editrice, 2017) con prefazione di Stefano Valentini.
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Bentornato, Francesco (Sassetto). È sempre una bellissima poesia, la tua.
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Finalmente una voce coraggiosa; finalmente intelligenza dentro la poesia.
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Grazie Massimiliano e grazie Antonio! Il vostro apprezzamento è per me prezioso. E grazie a Francesco Tomada che da sempre segue con generosità e attenzione grandi le cose che scrivo. Grazie per la stima e l’amicizia. un caro saluto a tutti quelli che hanno voluto passare di qui
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Fra l’altro, Francesco, voglio segnalare a chi passa la tua recensione sulla Recherche molto interessante e acuminata a riguardo dell’ultimo libro di Paolo Polvani “Il mondo come un clamoroso errore”. Io penso che la poesia civile non esista, e che volerla declinare in questo modo non sia di alcuna utilità, men che meno alla poesia stessa. La poesia non è utile. Al massimo crea nuovi mondi e in questi nuovi mondi, a volte, trovano un nome e una vita i tanti, i più che queste due cose hanno ormai perduto. Questo il link: http://www.larecherche.it/testo.asp?Id=1066&Tabella=Recensioni
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Perfettamente d’accordo, caro Massimiliano! Grazie per la segnalazione della mia recensione al libro di Paolo, un libro molto bello, secondo me. Da leggere.
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Francesco Sassetto è uno degli autori italiani contemporanei che stimo di più
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Sensibilità, onestà e acume. Grazie per gli Stranieri.
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