perìgeion

un atto di poesia

Dainas. Poesie popolari lettoni



a cura di Margherita Carbonaro


Nel soggiorno in casa dei miei genitori a Milano, sullo scaffale più alto della libreria, c’era una serie di volumi dal dorso di pelle marroncina. Non posso dire che da bambina mi incuriosissero in maniera particolare, fin quando un giorno mia madre mi disse: «Vedi, là dentro c’è tutta la Lettonia». E spiegò: «Contengono le dainas. E le dainas sono poesie in quattro versi che parlano di tutto quello che può succedere nel mondo e nella vita». Mi immaginavo i lettoni che se vincevano al lotto, se gli cadeva a terra una forchetta o perdevano il tram potevano commentare l’evento fausto o infausto con i quattro versi di una daina. Le dainas contenevano un mondo ed erano già in sé un mondo.
A Milano le dainas erano arrivate dalla Svezia, dove mia madre bambina e i suoi familiari erano approdati da profughi durante la seconda guerra mondiale. I volumi col dorso di pelle marroncina erano stati stampati a Copenhagen negli anni Cinquanta, un’edizione destinata alla diaspora lettone, un’enciclopedia delle voci della propria terra perduta, un prontuario della propria identità da sistemare con tranquilla coscienza in uno scaffale, bene in vista ma raramente consultato. Stavano per la Lettonia così come un pezzo di carretto appeso a una parete, con i suoi paladini intagliati nel legno, sta per la Sicilia.
Mio nonno aveva deciso di regalare le dainas a mia madre quando lei, con stupore e quasi scandalo della sua comunità, aveva annunciato che avrebbe sposato appunto un siciliano. Una dote non di biancheria ricamata e lini, ma di libri. Bene imballati, avevano viaggiato attraverso un bel pezzo di Europa per trapiantarsi dagli scaffali di un appartamento a Göteborg in quelli di un soggiorno lombardo.

Quei versi finiti sullo scaffale della mia infanzia erano stati tramandati oralmente per secoli nell’attuale Lettonia prima di essere raccolti, ordinati e pubblicati. Fra i primi a interessarsene ci fu Johann Gottfried Herder, che fra il 1764 e il 1769 visse e insegnò a Riga e nel 1778-79 pubblicò alcune canzoni popolari lettoni nella sua collezione di Volkslieder (e poi nelle Stimmen der Völker in Liedern, Voci dei popoli nei canti, 1807). Attorno alla metà del diciannovesimo secolo stuoli di raccoglitori,  seguaci del culto del folklore che dilagava in tutta Europa, si erano messi a battere le campagne di Livonia, Curlandia, Semgallia e Letgallia, terre che all’epoca appartenevano all’impero russo, e avevano messo per iscritto ciò che fino ad allora era stato solamente cantato. Iniziava l’epoca del “risveglio nazionale lettone” e alle dainas venne riconosciuta una grande importanza nell’affermazione della propria identità nazionale. Un popolo che nel corso della sua storia era stato a lungo servo di altri, soprattutto dei padroni nobili tedeschi ma anche dei dominatori svedesi e russi, poteva dimostrare di avere sempre avuto la sua voce, e che questa aveva un timbro originale e distintivo. 

L’opera di catalogazione e prima pubblicazione dei versi e delle canzoni popolari lettoni si deve in massima parte a Krišjānis Barons (1835-1923), che ne curò un’edizione in sei volumi uscita fra il 1894 e il 1915, intitolata Latvju dainas. Forse vale la pena di accennare al fatto che prima di allora quei versi popolari non si erano mai chiamati dainas, e che Barons prese in prestito la parola dal lituano, in cui daina (pl. dainos) significa “canto”. Operazione forse non biasimevole, visto che il passaggio dall’oralità alla scrittura è sempre inevitabilmente anche un mutamento di sostanza.
Nel magma dell’oralità raccolta Barons riconobbe come unità di base la quartina – la daina – e trascrisse quindi ciascuna unità di quattro versi su una strisciolina di carta con un numero che designava il luogo in cui era stata annotata. Individuò poi delle categorie tematiche che gli servirono per suddividere e catalogare l’immenso materiale: il canto; le tappe della vita umana; le relazioni sociali all’interno e all’esterno della famiglia; il lavoro; il ciclo dell’anno e le sue feste; le canzoni mitologiche; le formule magiche ecc. Per ordinare e archiviare le striscioline di carta Barons, che a quell’epoca viveva in Russia, utilizzava all’inizio scatole di sigari. Quando questo sistema non bastò più chiese a un falegname pietroburghese di costruirgli un armadio di pino fornito di settanta cassetti, ciascuno a sua volta suddiviso in venti scomparti. Attualmente l’armadio delle dainas di Barons si può vedere esposto alla Biblioteca nazionale di Riga. Di molte quartine esistevano naturalmente varianti locali: tra forme base e varianti la prima edizione di Barons riportava più di duecentomila dainas. L’opera di raccolta continuò anche nei decenni successivi e oggi il tesoro delle dainas ammonta a un milione di testi, consultabili in un armadio virtuale online: http://www.dainuskapis.lv. Se tutti i parlanti lettone al mondo – e sono circa due milioni – si mettessero a recitare contemporaneamente le loro dainas, in un’operazione globale di armonia/cacofonia, a ciascuno toccherebbero almeno due versi tutti per sé.

Presento qui alcune dainas che ho tradotto seguendo unicamente il mio gusto personale, senza nessuna ambizione di offrire una scelta in qualche modo rappresentativa. Si tratta in buona parte di quartine in cui compaiono figure della mitologia baltica, sulle quali spenderò solo due parole di chiarimento. Dievs, che in lettone moderno è il Dio cristiano, è anche il nome della principale divinità celeste della mitologia precristiana. Spesso, e non solo per esigenze metriche, appare nella forma diminutiva Dieviņš,che segnala prossimità e affetto: non è un Dio che sta nell’alto dei cieli, onnipotente e distante, ma una presenza vicina, partecipe e benefica, intima e quasi casalinga. Saule, in forma diminutiva Saulīte, è il sole, divinità femminile dai lunghi capelli d’oro, mentre Laima è il destino. In questa piccola scelta appaiono anche alcune delle delle tante madri mitologiche, responsabili dei diversi aspetti della natura: terra, mare, fuoco, foreste, ma anche di cose più terrene, come il denaro.
I versi delle dainas sono prevalentemente trochei (quattro piedi con una cesura nel mezzo) e dattili (due piedi con una cesura nel mezzo). Un tratto caratteristico è l’uso frequente di diminutivi, molto spesso impiegati per l’esigenza di colmare la misura del verso, che generalmente – tolti i casi a cui ho accennato – ho rinunciato a rendere in italiano. Leggere poesie di una tradizione orale poco conosciuta, di cui si ignora quasi del tutto il contesto, ne fa com’è ovvio qualcosa di profondamente diverso da ciò che erano prima di essere affidate alla carta. E tanto più se le si legge in traduzione. Anche a causa della loro brevità composta di due distici, un’enunciazione e una risposta – come un’inspirazione e un’espirazione – io sento le dainas levarsi da uno spazio molto silenzioso, parlare per poche decine di secondi e poi tacere di nuovo. Quindi è con questa sonorità nella mente che le ho scelte e, pronunciandole a bassa voce, le ho tradotte.



Le immagini riprodotte sono del pittore e grafico lettone Niklāvs Strunke (Gostynin, Polonia 1894 – Roma 1966), tratte da lettere indirizzate a mio nonno, Arturs Ozols (Dzērbene 1890 – Göteborg 1969), e conservate a Riga presso la Biblioteca Nazionale della Lettonia.


Dainas

 

Kas var dziesmas izdziedāt,
Kas valodas izrunāt?
Kas var zvaigznes izskaitīt,
Jūras zvirgzdus izlasīt?

Chi potrebbe cantare ogni canto,
dare voce a ogni parola?
Chi potrebbe contare ogni stella,
radunare ogni pietra del mare?



*


Kur, Dieviņi, tu paliksi,
Kad mēs visi nomirsim?
Ne tev sievas, ne tev bērnu,
Kas tev vecam maizi dos?

Dove starai, Dieviņš
quando noi saremo morti?
Non hai moglie, non hai figli
che a te vecchio diano il pane? 



*


Rāmi, rāmi Dieviņš brauca,
No kalniņa lejiņā;
Netraucēja ievu ziedu,
Ne arāja sējumiņu.

Piano piano Dieviņš scende
dall’alto nella valle;
nessun fiore ha disturbato
nessun campo arato.



*


Tumsa, tumsa, liela tumsa,
Es par tumsu nebēdāju;
Ir manam kumeļam
Zvaigžņu sega mugurā.

Buio, buio, grande buio,
quanto buio non m’importa;
una coperta di stelle
ha in groppa il mio cavallo.



*


Saulīt’ vēlu vakarā
Sēžas zelta laiviņā;
Rītā agri uzlēkdama,
Atstāj laivu līgojot.

Nella barca dorata si stende
Saulīte in tarda sera;
al mattino presto sorgendo
e abbandona la barca alle onde.



*


Saule savus kumeliņus
Jūriņā peldināja;
Pate sēd kalniņā
Zelta groži rociņā.

Saulīte ha portato i cavalli
a bagnarsi nel mare;
lei siede sulla collina,
in mano ha le redini d’oro.



*


Kur, Saulīte, mājas ņēmi,
Vakarā noiedama?
Vidū jūras uz ūdeņa
Zelta niedres galiņā.

Dove hai la tua casa, Saulīte,
tramontando la sera?
In mezzo al mare, sull’acqua,
in cima a un giunco dorato.



*


Vai pa Dieva devumam,
Vai pa Laimes likumam,
Svešs svešu satikās,
Mīļu mūžu nodzīvoja.

Forse è un dono di Dievs,
forse è la legge di Laima,
lo straniero incontrò la straniera,
e insieme vissero in gioia.



*


Viena saule, viena zeme,
Nav vienāda valodiņa;
Pār upīti pāri gāju,
Jau savāda valodiņa.

Stesso sole, stessa terra,
ma non c’è una stessa lingua;
ho attraversato il fiume,
già la lingua è cambiata.






*

Lai bagāta, kas bagāta,
Ceļa māte, tā bagāta:
Tur tecēja dien’ un nakti
Dzelzīm kalti kumeliņi.

Chi è ricca, che ricca sia,
ricca è la madre della Via:
giorno e notte vi corrono
cavalli e zoccoli ferrati.



*


Meža māte putnus skaita,
Uz cinīša sēdēdama
Izskaitīse viņus visus,
Iet uz mājām dziedādama

Seduta su un ceppo conta
gli uccelli la madre del Bosco;
e quando tutti sono contati
lei va a casa cantando.



*


Vēja māte, Vēja māte,
Vai galviņa tev nesāp?
Vai galviņa tev nesāp,
Visu mūžu vējojot?

Madre del Vento, dimmi,
la testa non fa male?
La testa non fa male
a forza di soffiare?



*

Visapkārt Rīgai braucu,
Neviens mani nepazina;
Naudas māte, tā pazina,
Tā apbēra sudrabiņu.

Ho girato per tutta Riga,
nessuno mi conosceva;
la madre dei Soldi, lei sì,
e mi ha coperto d’argento.



*


Ej prom, Kara māt,
Ved prom karu sav’:
Vakar sīra, šodien sīra,
Manus baltus bālēliņus.

Madre della Guerra, vai,
porta via la tua guerra;
ieri, oggi hai rapito
i miei bianchi fratelli.



*


Maizīt balta, bagātā,
Nāc pie manis, nabadziņa!
Gan tu biji apnikuse
Bagātam vārdzināma.

Pane ricco, pane bianco,
qui da me, povera, vieni!
Sarai stanco ormai
di servire il ricco.



*


Bēdu manu, lielu bēdu,
Es par bēdu nebēdāju;
Liku bēdu zem akmeņa
Pāri gāju dziedādama.

Grande grande è il mio dolore.
del dolore non m’importa;
lo metto sotto una pietra
e lo calpesto cantando.

*


Rāji, rāji, tautu dēls,
Tu jau mani nenorāsi;
Tikko tieku tīrumā,
Palēkdamās gavilēju.

Grida, uomo, grida pure,
non mi spezza il tuo gridare;
appena uscita nel campo
io esulto saltando.  



*


Es atradu ganīdama
Zaļa zīda kamoliņu;
Ar to vilku puišam domas
Pa matiņu galiņiem.

Pascolando ho trovato
un gomitolo verde di seta;
del ragazzo tiro i pensieri
per le punte dei capelli.



*


Brīdi, laiku man dzīvot,
Nedzīvot saules mūžu;
Ūdeņam, akmiņam –
Tam dzīvot saules mūžu.

Per il tempo di un attimo vivo,
non mi è data la vita del sole;
all’acqua e al sasso, a loro
è data la vita del sole.



*


Apsagūlu saldu miegu
Jūras kāpas galiņā;
Dzied akmens, raud ūdens,
Vēja māte gavilēja.

Dormo di un dolce sonno,
in cima alla duna sul mare;
canta la pietra, l’acqua piange,
esulta la madre del Vento. 



*


Svētu rītu ganos dzinu,
Miglu tinu kamolē;
Kad ieraugu svešus ļaudis,
Tad ar miglu aplaidos.


Al pascolo, in un mattino di festa,
ravvoltolo la nebbia;
vedendo chi non conosco
nella nebbia mi chiudo. 





5 commenti su “Dainas. Poesie popolari lettoni

  1. vengodalmare
    25/11/2020

    Veramente belle, grazie.

    Piace a 1 persona

  2. Ilze Atardo
    26/11/2020

    Grazie mille, Margherita!

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  3. Umberto
    11/07/2021

    Molto belle! Affascinante il racconto!

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  4. Agija Ozoliņa
    01/09/2021

    Grazie, Margherita!

    Cercavo un testo in italiano per spiegare cosa sono Dainas. Che belle la parole di Sua madre «Vedi, là dentro c’è tutta la Lettonia» – non poteva essere più precisa. E che uomo saggio il Suo nonno.
    P.S. Sono lettone sposata con siciliano.

    Piace a 1 persona

  5. Pingback: Poli-logo » Nel bosco della luce

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Questa voce è stata pubblicata il 25/11/2020 da in letteratura lettone, poesia, traduzioni con tag , , .