perìgeion

un atto di poesia

Deserto anacoluto, di Martina Campi

DESERTO ANACOLUTO

I

lo l’attendevo la pioggia purché facesse

da sé tutto il nero scompiglio

di cielo severo, pomeriggio inflessibile

lucido viscerale e disperato,

per i fondi bucati nelle giacche,

gli aggettivi, eccetera

ossa, che avevano gettato la spugna.

II

La fine frusta di una sera

al confine, a fare il nulla

e sembrarsi confusi

da strozzarsi la gola,

per osmosi

carne defunta

nei rimorsi a porta aperta.

III

Tenevo il tempo al collo

solo per vedere l’ alba

e scesi io stessa

nel giardino soffrendo d’aria,

l’ombra dei (mai) nati (mai) morti

non ancora impossibile,

tanta solitudine.

un grumo che dalla polvere si separa o, per meglio dire, neve a sciogliere pietre nel piatto che fa eco. Abituarsi. Forza demolitrice degli spigoli, dei tratti e dei colori, degli affanni, che cadendo si lega, ricorda e frantuma. Poco più che una nutrice cieca mentre incarta il nulla a una culla vuota e che forse neanche c’è più, per pratica del mattino, recisa

I

Le falangi spezzate

sono terra cava

figlia di un padre deserto sterile

madre che contiene il nulla,

appena l’accenno di sonno insolubile.

II

Ho dormito settimane per tornare simulata,

pallida mimesi a distanza

infinita, simulacro del divenire

corpo trapiantato fuso alla voce

e nulla da dichiarare, se non la candeggina

III

A strappare l’erba nuova

c’andavano i bambini

il pomeriggio, con l’unica voce

d’abisso, ferita aperta

senz’orma di un fondo.

così oggi sai che soffia un vento fortissimo, con i fiori all’infuori e all’ingiù da tutte le balaustre, e nel tempo di coprirti il viso con la mano, sento passarti accanto il silenzio gelato dei ghiacciai sterminati, scintillanti come fucine di diamanti sotto il sole, che ti farebbero urlare a squarciagola per sentirsi parlare almeno una parola

i Mietitori del sorriso danzano come le spighe al vento quando ondeggiavano sulla terra ormai secca le sere d’agosto, nel silenzio abitato da un frinire ininterrotto che precedeva soltanto i canti e le danze nella nette di San Giovanni; ma la danza dei Mietitori è quella dei Dervisci, non segna calendari né i più antichi tragitti del sole, sola come un vento s’alza altrove, avanza silente aperta intorno al paese delle vacanze, incurante delle cicale e degli ululati dei cani

Comunicare se ne va da noi,

qui ci fermiamo con le bandiere abbassate

alla chiarijicazione arida come le sponde

all’indietro su bicchieri tenuti

con i gesti antichi deli’abitudine.

Oggi la pioggia sorride tristezza

inondazione degli istinti

al risplendere e all’appartenere

che le linee barbare attendono sulla curva

compaiono all’improwiso.

da Quasi Radiante, Tempo al libro, 2019

Martina Campi è autrice e performer. Tra le sue pubblicazioni: La saggezza dei corpi (L’arcolaio 2016), Cotone (Buonesiepi Libri 2014), Estensioni del tempo (Le Voci della Luna Poesia, 2012 – Vincitore Premio Giorgi), e la plaquette È così l’addio di ogni giorno (Corraino Edizioni 2015). Presente in antologie, riviste e webzines. Sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo, francese e rumeno. È tra gli organizzatori del festival “Bologna in Lettere” dalla prima edizione. Da giugno 2017 partecipa a Il banchetto di Rosaspina – Di virtù e maledizioni, Spettacolo di Teatro, Poesia e Favola, di e con Alessandra Gabriela Baldoni, con Giancarlo Sissa, Luna Marie, Mario Sboarina. Co-fondatrice, con il compositore e musicista Mario Sboarina, del progetto Memorie dal SottoSuono – The poetry music experience, nel quale si fondono reading poetico, elettronica, jazz/ambient, contaminazioni afro e accenni di musica popolare; di marzo 2016 l’omonimo album. Il progetto Memorie dal SottoSuono è oggi un vero e proprio collettivo a cui partecipano artisti di diversa formazione. Sito personale: http://www.martinacampi.it/.

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