Incastonata nella tradizione del romanzo in versi, l’opera poetica di Luca Ariano trova qui un nuovo passo, che non soltanto continua e approfondisce la ricerca presente nei libri precedenti, ma ne regala formulazioni sempre più cristalline. Ero altrove (Le Voci della Luna, 2015) non si limita a riportare al centro della scena Teresa, l’Emilio, Fiulin e i molti altri personaggi di una saga basso padana e di basso evo che reca con sé valenze morali, sociali e politiche ben più ampie: ciò che si ascolta qui è, innanzitutto, un dolore che si fa voce, una voce che si fa perla. Ariano, infatti, cita Ferrater: “Ben poca cosa è un poeta se non è in grado / di comporre senza angosce”. Versi ai quali si può forse aggiungere una sola postilla: “ben poca cosa è un poeta se non è in grado di trovare la propria lingua”. La lingua di Ariano, invece, si muove senza smacco, moltiplicando coralmente registri, figure e stili, senza mai accusare il colpo: quello, in ogni caso, viene dalla realtà e dal suo altrove. Nel titolo, c’è quindi una scelta di campo, che non è affatto una ritirata, bensì il cammino, la tensione verso l’unica posizione dalla quale si può tornare a parlare con onestà, con dolore, ma resistendo e in forma – infine – di altissima poesia civile. Qualunque significato abbia quest’ultima definizione, beninteso: sorprende, ma ci pone davanti un capitale, una pietra preziosa.
(nota di lettura di Lorenzo Mari)
***
dalla sezione “Città perdute”
“Se si insegnasse la bellezza alla gente
si fornirebbe un’arma contro la rassegnazione,
la paura e l’omertà.”
Peppino Impastato
Un giorno di papaveri nei campi,
di pappi nell’aria di neve
e Anna – nome da partigiana Rosa –
non voleva essere una donna
della famiglia fascista:
balzando tra i castagni ha visto
montagne abbandonate e boschi
dimenticati anche dai funghi.
Non più cascine, solo agriturismi…
Buffalo Grill e Road House:
periferie come Togliattigrad
e puttane alle stazioni di servizio.
Fiulin s’è sporcato le scarpe di fango
senza un passo che consumi le suole
in un’epoca da Basso Evo
– senza esser stato Impero –
Teresa come in Georgia
e la nostalgia nei capelli:
l’odore delle margherite la domenica
si confonde tra crema e aroma.
***
Trivelle bucano la terra nel parco:
animali fuggiti dalle selve… api, farfalle…
Si raschia il barile tra sacchi di politene,
discariche di capibastone e la chiameranno
Petrol Valley… Business… Economy.
Non rimarrà nemmeno una goccia
per lavarsi dita luride: la rugiada scivolerà
nell’odore d’erba calpestata.
L’Enrico urlerà festante nel paese silente
dove contano le tasche tronfie, visi
ben truccati tra gru a squarciare travi.
Era un cimitero di campagna secoli fa:
si racconta di soldati francesi seppelliti
accanto ciminiere e tangenziali.
Le ragazze si abbrustoliscono al primo sole
di cosce e stivali all’aria e Teresa e Fiulin
tra scaffali Ikea e stanze d’arredare;
il sapore delle sere di maggio tra un the
in giardino e le campane domenicali
sfiorando il volto di luce.
***
Giovannino – Nino per gli amici,
ha cominciato cantando sdolcinato
in pizzerie di quartiere… matrimoni dei boss:
eletto al parlamento in un collegio blindato,
voti di scambio e spumante con Maria
Miss gambe lunghe depilate, col seno rigonfio
e una gabbia climatizzata per i canarini.
L’Emilio con le sue nevrosi da romanzo,
con la Pasionaria a carezzargli la testa.
Teresa e Fiulin tra le lapidi ai caduti immerdate
di piccioni e svastiche tra vie di condomìni,
palazzi neoclassici abbandonati… persiane marcite:
a pochi passi si sentivano le rane di sera,
un vento senza alberi sradica grondaie…
strade allagate di spiagge spianate da nuove stagioni.
***
Lo chiamavano il Ras delle risaie
– al slongariss anca l’acqua:
hanno coinvolto la moglie in tangenti,
roba da Prima Repubblica – dicono.
L’Enrico luvrä ‘me ‘n negher
e il sabato pomeriggio a guardare
partite di subbuteo in attesa della domenica.
Teresa pedala su un letto di foglie
in quartieri che mutano pelle:
paiono quasi belli tra mercatini
e odori di dolci dei morti.
Per un giorno dimenticare fondi neri,
fabbriche delocalizzate, sub-sub appalti,
giornalisti uccisi… squadrismo mediatico,
come fosse un giorno d’autunno
di bambini all’uscita da scuola.
***
La spiaggia romana con pineta
– vista discarica, è una colata di palazzi
con antiche strade tra ville abusive;
di civiltà ai confini dell’Impero
rimangono colonne sbriciolate
e dune costruite dal vento.
Mauro era un bambino violento,
picchiava anche a pallone:
ha ucciso il padre per legittima difesa
a bottigliate sul cranio.
Massimo – diversamente abile dalla nascita,
a quarant’anni gira di notte col triciclone
per le strade tra auto sfreccianti
e la radiolina a tutto volume:
«Sogna ragazzo sogna…»
Tisana di timo al ritorno dalle nebbie:
lì c’erano paludi, ora lumi d’inceneritori
e outlet fino ai boschi e accanto
pascolano pecore prima dell’inverno.
***
uno splendido esempio di grande e profonda prosa poetica che, capace di fondare un romanzo di parole reali e toccanti, vibra nel secolo attuale dandogli voce potente.
Grazie
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