Le cantava così, le canzoni
che l’avrebbero portata a un’Africa segreta di memorie
espeziate tende al lume di canti e mitridate pietre
dove alfine nascoste, scoppiettavano segrete
pietre filosofali della vita si piegavano
QUINTA VEZ, o del ritrovamento
Breve allegoria della seconda vita di China, qui madre fanciulla, risorta in terra di Castiglia,
in una storia che continua la biografia precedente, presente in “China”, 2010, ne è metamorfosi.
China, oggi.
Prologo
Donde estava? Como recomparve, de qui e a qui
se queria?
De su alma hermosa e ardimentosa todas las adventuras
de su vida querida cantavano.
Recomparve, no resurrexit. De su alma querida e tormentosa
solamente larmas amorosas replicavano gli oselli, i ninos
fortifianti e belli, incantatori replicavano agli uccelli
variegati dell’essere,
un destino di finale musica e beltà soave dopo caracollante
essere di caballero stanco; Recomparve,
giovane hermosa oh bella colomba, fresca amorosa della vita,
vita nuova creata per sé sola, a sé misma estrana,
ai più sconosciuta,
volontaria straniera della pace.
1 Volontaria straniera della pace
Una villa segreta della pace ai suoi occhi splendeva,
rifioriva in paesi di cicogne per la notte
pronte, di bambini e di segrete stanze
per la festa d’estate nascondeva Essa,
le stesse le cantava:
Es un destino famoso, es una suerte lieta, hasta
mansuete, rotolanti giù ai piedi del deserto,
si calmavano splendevano piccole avulse luci
che la notte rimandava
allo specchiato alzarsi del giorno,
beduina visione.
Una villa segreta della pace ai suoi occhi fioriva
in paesi di cicogne nella notte attente
a calcolate nubi, né le voci
minuscole, segrete le avrebbe più sentite
ripetere quel canto
che lei, nascosto al cuore, faceva già risplendere
rifare sue canzoni
mondi andalusi e canti di Castiglia
andati al fondo di un cammino
prima che vita sedentaria di corte e scuole,
li avesse già fissati al cielo, volti
di vita e cabale segrete;
e non di China soltanto era la storia
di canti nomadi,
un poco numero e un po’ visione.
Canti d’amore tenero (mendace)
ma alfine dette, altrimenti dette
sue parole, sefaràd segreta,
intente a dire quella fortuna mobile,
inconsueta
di fare e vivere senza movente alcuno
che quel respiro – forma, o situazione.
2 Il ronzinante mulo la portava
integra e infante, già molto intenta a fidanzarsi
con la dea fortuna che lei sentiva chiara,
scrivere storie di cantari stanchi e
di cavalli picari, di lestofanti pronti alla guerra
e lei non più morire.
Guerre di re mulini o di passate glorie,
di mai più fatta pace, e di virtù perire.
Della lezione stanca che di là veniva, China
non ricordava che le suole capovolte dei calzari:
la seguivano giù in fondo al paradiso dove
la madre e figlie attendevano menarla,
intenta a redarguire, credere le mille
e mille di virtù dipinte, facili e tristi
storie che lei non sapeva intendere.
3 La Madonnina la seguiva e la guidava
ma stordita, per lei felice predicava
virtù miracoli fiaschi di vino e lacrime,
più doni che dintorni –
Nella villa i paesani si chiedevano
se mai fosse capace di preghiera,
di segreti astanti che da lei attendevano
miracoli, né vino pani o pesci
né canzoni,
ma in fondo erano viaggi di fortuna,
paesi spessi e ariosi di buon vento
e sandali dorati alla cintura
cavezze per cavalli a dismisura, erano questi
i doni che a lei chiedevano i bambini:
questi, China, sapeva consolare.
Che intanto China sospirasse di virtù tradite
di Spagna integra, di ventose corti
era per sempre impresso sulla fronte,
nelle leggere mani alle caviglie ai polsi
di donna forte, ormai sincera.
Non era Spagna, o gioventù tradita
quella canzone chiara e moderna nell’antico
che lei girando intorno al cuore
in forte intesa rifaceva dove i miracoli,
i giornali diari di corte e di viandanza
in brusco editto di città divina
avrebbero diviso le canzoni da canti sefarditi
e nenie arabe felici, nella mistica di carne.
Fuori di là, Partite! era destino chiaro:
cercate sorte ed assonanza altrove
alla ventura degli avvenuti nuovi giunti,
onde diverse diventate, un nuovo esodo
saranno le canzoni con convinzione
gettate e ritardate.
4 Quale vestito di fiorito bianco
quale giardino o viso-amante nel suo vestito
quale maestro di pensiero stanco ne avrebbe udito
più il sospiro
caldo di notte, fresco di pensiero
se la collina verde di Toledo non attendeva lei,
Maria bambina di parola, ingresso – mente
giovane illibata,
che l’aveva già resa madre in altra vita
in altre, di città – canzone.
Città – pensiero era la voce
madre, che piena di vita ora volava
di città in pianura sul ronzinante
di virtù raggiante, fiorita e bella, nina
da beltà scacciata per invidia dei venti
e dei mastini al largo.
Che amanti aveva più voluto China, là seduta:
giovani fieri, nobilmente lenti
e magnanimi all’uso della pia ragione;
non picari desti all’incanto
sempre devoti alla cattolica nazione,
non piuttosto preda di canzoni oscure,
di zingaresche mani,
ninos fedeli nel servire il ronzinante
in veloce destrezza a lei intenta
a che il destino si compisse, forte per lei
sensibile bambina.
Belle le gambe e belli gli occhi oscuri,
forti le braccia nel danzare danze di vita, e danze
della morte – i n t e r a.
5 La macchina di guerra già suonava
Belle le estati, o pie stagioni
in cui China seduta ricordava
di oscure gesta, sensazione di cavalieri
darsi alla macchia, alla loro gloria o fuga,
come stazioni della sua stagione:
forte, seduta, giovane che intanto
presta, di virtù dipinta poteva dirsi
consolata e cara, di più vite accorpata, né disincarnata
la canzone tanto intenta a dire.
La macchina da guerra già suonava
antiche glorie di tenzoni,
e di battaglie che perdute, sfumavano
la linea di orizzonte di una persa notte
dove infanti battaglioni inermi potevano seguire
una lei donna, già agguerrita,
e pronta ancella di virtù maestra, di carnale aspetto
libera ad insegnare che beltà ha nome
di regale follia, di andamento virtuoso
in più spumoso.
6 China era prodigio di canzone
Quando di China si vedette il volto
salire in aura, in benvoluta gloria
China già più non era là seduta, ma distante
volgersi e dire in addio serena
le ultime care frasi della notte:
quelle che di cantari, gesta e sacripanti
donzelle e mostri, essa mostrava
sé capace a recitare:
modeste cupole, già case per la mente,
di una speranza che la villa, e mente di Castiglia
più non udiva.
Morì. Tradì, scoppiò, dissolse sé, disparve
non fu mai dato di sapere, ma servì a capire
che China era prodigio di canzone
meravigliosa creatura in luogo chiaro,
corso di virtù serena – gioia nel corpo cibo
della mente – angelo al tocco dei bambini
salvi nel fiume corso della sua esistenza,
frumento pane di virtù mai sorte
sentimento del mondo, sua dizione.
***
Maria Pia Quintavalla, nasce a Parma, ma dal 1983 vive e lavora a Milano. Poetessa e narratrice, si occupa anche di critica letteraria e collabora con l’Università Statale di Milano. Tra le sue opere di poesia: “Cantare semplice”, (Tam Tam Geiger, India-USA 1984); “Lettere giovani” (Campanotto Editore, Pasian di Prato 1990); “II Cantare” (Campanotto Editore, Pasian di Prato 1991); “Le Moradas” (Empiria, Roma 1996); “Estranea” (canzone) (Piero Manni, San Cesario di Lecce 2000); “Corpus solum” (Archivi del ‘900, Milano 2002); “Canzone, Una poesia” (Pulcinoelefante, Osnago 2002 e 2005); “Napoletana” (Copertine di M.me Webb, Domodossola 2003); “Le nubi sopra Parma” (Battei, Parma 2004); “Album feriale” (Rosellina Archinto, Milano 2005); “Selected poems” (Gradiva, New York 2008); “China. Breve storia di Gina tra città e pianura” (Edizioni Effigie, Milano 2010); “I Compianti” (Edizioni Effigie, Milano 2013).