perìgeion

un atto di poesia

Maria Pia Quintavalla, Quinta vez

mariapiaq1

Le cantava così, le canzoni

che l’avrebbero portata a un’Africa segreta di memorie

espeziate tende al lume di canti e mitridate pietre

dove alfine nascoste, scoppiettavano segrete

pietre filosofali della vita si piegavano

QUINTA VEZ, o del ritrovamento

Breve allegoria della seconda vita di China, qui madre fanciulla, risorta in terra di Castiglia,

in una storia che continua la biografia precedente, presente in “China”, 2010, ne è metamorfosi.

China, oggi.

Prologo

Donde estava? Como recomparve, de qui e a qui

se queria?

De su alma hermosa e ardimentosa todas las adventuras

de su vida querida cantavano.

Recomparve, no resurrexit. De su alma querida e tormentosa

solamente larmas amorosas replicavano gli oselli, i ninos

fortifianti e belli, incantatori replicavano agli uccelli

variegati dell’essere,

un destino di finale musica e beltà soave dopo caracollante

essere di caballero stanco; Recomparve,

giovane hermosa oh bella colomba, fresca amorosa della vita,

vita nuova creata per sé sola, a sé misma estrana,

ai più sconosciuta,

volontaria straniera della pace.

1 Volontaria straniera della pace

Una villa segreta della pace ai suoi occhi splendeva,

rifioriva in paesi di cicogne per la notte

pronte, di bambini e di segrete stanze

per la festa d’estate nascondeva Essa,

le stesse le cantava:

Es un destino famoso, es una suerte lieta, hasta

mansuete, rotolanti giù ai piedi del deserto,

si calmavano splendevano piccole avulse luci

che la notte rimandava

allo specchiato alzarsi del giorno,

beduina visione.

Una villa segreta della pace ai suoi occhi fioriva

in paesi di cicogne nella notte attente

a calcolate nubi, né le voci

minuscole, segrete le avrebbe più sentite

ripetere quel canto

che lei, nascosto al cuore, faceva già risplendere

rifare sue canzoni

mondi andalusi e canti di Castiglia

andati al fondo di un cammino

prima che vita sedentaria di corte e scuole,

li avesse già fissati al cielo, volti

di vita e cabale segrete;

e non di China soltanto era la storia

di canti nomadi,

un poco numero e un po’ visione.

Canti d’amore tenero (mendace)

ma alfine dette, altrimenti dette

sue parole, sefaràd segreta,

intente a dire quella fortuna mobile,

inconsueta

di fare e vivere senza movente alcuno

che quel respiro – forma, o situazione.

2 Il ronzinante mulo la portava

integra e infante, già molto intenta a fidanzarsi

con la dea fortuna che lei sentiva chiara,

scrivere storie di cantari stanchi e

di cavalli picari, di lestofanti pronti alla guerra

e lei non più morire.

Guerre di re mulini o di passate glorie,

di mai più fatta pace, e di virtù perire.

Della lezione stanca che di là veniva, China

non ricordava che le suole capovolte dei calzari:

la seguivano giù in fondo al paradiso dove

la madre e figlie attendevano menarla,

intenta a redarguire, credere le mille

e mille di virtù dipinte, facili e tristi

storie che lei non sapeva intendere.

3 La Madonnina la seguiva e la guidava

ma stordita, per lei felice predicava

virtù miracoli fiaschi di vino e lacrime,

più doni che dintorni –

Nella villa i paesani si chiedevano

se mai fosse capace di preghiera,

di segreti astanti che da lei attendevano

miracoli, né vino pani o pesci

né canzoni,

ma in fondo erano viaggi di fortuna,

paesi spessi e ariosi di buon vento

e sandali dorati alla cintura

cavezze per cavalli a dismisura, erano questi

i doni che a lei chiedevano i bambini:

questi, China, sapeva consolare.

Che intanto China sospirasse di virtù tradite

di Spagna integra, di ventose corti

era per sempre impresso sulla fronte,

nelle leggere mani alle caviglie ai polsi

di donna forte, ormai sincera.

Non era Spagna, o gioventù tradita

quella canzone chiara e moderna nell’antico

che lei girando intorno al cuore

in forte intesa rifaceva dove i miracoli,

i giornali diari di corte e di viandanza

in brusco editto di città divina

avrebbero diviso le canzoni da canti sefarditi

e nenie arabe felici, nella mistica di carne.

Fuori di là, Partite! era destino chiaro:

cercate sorte ed assonanza altrove

alla ventura degli avvenuti nuovi giunti,

onde diverse diventate, un nuovo esodo

saranno le canzoni con convinzione

gettate e ritardate.

4 Quale vestito di fiorito bianco

quale giardino o viso-amante nel suo vestito

quale maestro di pensiero stanco ne avrebbe udito

più il sospiro

caldo di notte, fresco di pensiero

se la collina verde di Toledo non attendeva lei,

Maria bambina di parola, ingresso – mente

giovane illibata,

che l’aveva già resa madre in altra vita

in altre, di città – canzone.

Città – pensiero era la voce

madre, che piena di vita ora volava

di città in pianura sul ronzinante

di virtù raggiante, fiorita e bella, nina

da beltà scacciata per invidia dei venti

e dei mastini al largo.

Che amanti aveva più voluto China, là seduta:

giovani fieri, nobilmente lenti

e magnanimi all’uso della pia ragione;

non picari desti all’incanto

sempre devoti alla cattolica nazione,

non piuttosto preda di canzoni oscure,

di zingaresche mani,

ninos fedeli nel servire il ronzinante

in veloce destrezza a lei intenta

a che il destino si compisse, forte per lei

sensibile bambina.

Belle le gambe e belli gli occhi oscuri,

forti le braccia nel danzare danze di vita, e danze

della morte – i n t e r a.

5 La macchina di guerra già suonava

Belle le estati, o pie stagioni

in cui China seduta ricordava

di oscure gesta, sensazione di cavalieri

darsi alla macchia, alla loro gloria o fuga,

come stazioni della sua stagione:

forte, seduta, giovane che intanto

presta, di virtù dipinta poteva dirsi

consolata e cara, di più vite accorpata, né disincarnata

la canzone tanto intenta a dire.

La macchina da guerra già suonava

antiche glorie di tenzoni,

e di battaglie che perdute, sfumavano

la linea di orizzonte di una persa notte

dove infanti battaglioni inermi potevano seguire

una lei donna, già agguerrita,

e pronta ancella di virtù maestra, di carnale aspetto

libera ad insegnare che beltà ha nome

di regale follia, di andamento virtuoso

in più spumoso.

6 China era prodigio di canzone

Quando di China si vedette il volto

salire in aura, in benvoluta gloria

China già più non era là seduta, ma distante

volgersi e dire in addio serena

le ultime care frasi della notte:

quelle che di cantari, gesta e sacripanti

donzelle e mostri, essa mostrava

sé capace a recitare:

modeste cupole, già case per la mente,

di una speranza che la villa, e mente di Castiglia

più non udiva.

Morì. Tradì, scoppiò, dissolse sé, disparve

non fu mai dato di sapere, ma servì a capire

che China era prodigio di canzone

meravigliosa creatura in luogo chiaro,

corso di virtù serena – gioia nel corpo cibo

della mente – angelo al tocco dei bambini

salvi nel fiume corso della sua esistenza,

frumento pane di virtù mai sorte

sentimento del mondo, sua dizione.

***

Maria Pia Quintavalla, nasce a Parma, ma dal 1983 vive e lavora a Milano. Poetessa e narratrice, si occupa anche di critica letteraria e collabora con l’Università Statale di Milano. Tra le sue opere di poesia: “Cantare semplice”, (Tam Tam Geiger, India-USA 1984); “Lettere giovani” (Campanotto Editore, Pasian di Prato 1990); “II Cantare” (Campanotto Editore, Pasian di Prato 1991); “Le Moradas” (Empiria, Roma 1996); “Estranea” (canzone) (Piero Manni, San Cesario di Lecce 2000); “Corpus solum” (Archivi del ‘900, Milano 2002); “Canzone, Una poesia” (Pulcinoelefante, Osnago 2002 e 2005); “Napoletana” (Copertine di M.me Webb, Domodossola 2003); “Le nubi sopra Parma” (Battei, Parma 2004); “Album feriale” (Rosellina Archinto, Milano 2005); “Selected poems” (Gradiva, New York 2008); “China. Breve storia di Gina tra città e pianura” (Edizioni Effigie, Milano 2010); “I Compianti” (Edizioni Effigie, Milano 2013).

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Questa voce è stata pubblicata il 16/07/2018 da in inediti, letteratura italiana, ospiti, poesia con tag , , , .
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