Nel suo recente Nel tremore degli anni (puntoacapo, Pasturana (AL), 2020, pp. 58), Filippo Ravizza presenta un corpo di poesie sfaccettato come un prisma, incastonato tra due preziosi contributi, quello iniziale di Gianmarco Gaspari in Prefazione e quello finale di Giuliana Nuvoli in postfazione (intitolata La spinosa verità del nulla, da un verso della raccolta), che fungono sia da riflessione e approfondimento sia da rifrazione, ampliando così le direzioni di senso della raccolta, il tutto accompagnato da una nota critica di Ivan Fedeli. L’asse tematico della nuova pubblicazione di Ravizza è il tempo, come già le precedenti tra cui citiamo Nel secolo fragile (La Vita Felice, Milano, 2014) e La coscienza del tempo (La Vita Felice, Milano, 2017). Questo è dunque il solco, la traccia che l’autore persegue e dissoda, d’altronde la consapevolezza dell’essere e del fare poesia è un elemento concreto e temporale, ma se nelle precedenti raccolte il tempo oggetto d’indagine poetica è il tempo storico dell’esperienza, e quindi della trasformazione, la Storia quale scenario ampio dove agisce il soggetto, in Nel tremore degli anni Ravizza volge il suo sguardo – come detto rifrangente – a un tempo interiore che scandisce i passaggi di tappa, intessendo una sorta di dialogo intimo (ma nient’affatto intimista) tra il poeta e l’uomo.
La mano allora si alza
Tempo fermare tempo correre
tempo tentare di capire come
tutto ti guarda indifferente certe
sere d’estate mentre il sole tramonta
vedi la traslucida opaca trasparenza
della superficie del mondo e delle
cose quasi sembra di capire dove
dove è il confine il punto l’anello
che non tiene tra le cose e il nulla
tra il pieno e il vuoto la mano allora
si alza tenta di carpire il volo
si allarga e poi si stringe ma si
chiude sul vuoto e nel vuoto
il vuoto del tutto che non c’è
non esiste veramente.
Sapientemente Gaspari e Nuvoli, prefatore e postfatrice, individuano i topoi del testo: l’uno indicando nel rapporto con il tempo il campo d’azione poetica di Ravizza e descrivendone le fasi successorie (dal farsi della presenza al “mistero del mondo” quale enigma da decifrare, al nulla che ci attende in un punto della sequenza), l’altra enumerando ed esplicitando le parole chiave attorno a cui si sviluppa la raccolta: tempo, va da sé, e nulla (e i suoi omologhi vuoto e niente), punto di destinazione le cui tracce sono rinvenibili già nella dimensione temporale (al magistero di Leopardi Nuvoli fa risalire una fonte di ispirazione di Ravizza, che gli dedica Monte Tabor, la famosa collina di Recanati).
Il chiarore dei capelli
Danzare, muovere nel ritmo la testa,
incuranti del chiarore dei capelli…
la sentite? sentite la carezza del mondo?
tutto è una maschera impossibile
sì ma è dolce la carezza delle cose
tutto in fondo abbraccia questi capelli
bianchi questi occhiali queste teste
occidentali…
arriveremo, arriveremo senza
mai pensarci, senza mai pensare,
la fine inaspettata coglierà
mentre staremo cantando mentre
staremo stringendo nelle braccia
il nulla, l’ovattato mondo,
l’incoscienza che ci viene incontro.
A cavallo quindi tra storia (e Storia) ed esperienza personale, in questi versi si svolge la battaglia del soggetto tra il suo essere nella storia, essere nella realtà, per incidere, cambiare, fare politica e il suo essere destinato al nulla, all’oblio, in un orizzonte di finitudine. Ecco allora che avvicinarsi all’esito non può non suscitare tremore, testimonianza dell’umana fragilità, che assomma nel medesimo sguardo pensieri, ricordi, sentimenti ed emozioni.
Ma l’io di cui Ravizza parla e scrive è un io plurale, collettivo, dove il soggetto si rispecchia in una comunità e l’esperienza singolare vive e agisce solo dentro un contesto sociale. L’essere è sempre una affermazione di consapevolezza e condivisione. Anche per questo motivo tra le parole chiave aggiungerei generazione. E per “generazione” dobbiamo intendere una generazione politica, quella di coloro che nel Novecento hanno messo in campo pratiche di trasformazione rivoluzionaria della società, e non anagrafica. Seguendo questa traccia, possiamo senz’altro affermare che la poesia di Ravizza è anche espressione di impegno civile e politico, di affermazione etica, come già nelle precedenti raccolte, e che Nel tremore degli anni conferma.
Le carezze date
Dunque è qui che passa come pietra
immobile nel suo svanire passa
la generazione che ora parla respira
e non sa non si ferma a pensare
che quelle parole e quei respiri finiranno
finiranno persino i pensieri che a tutti
parevano cantare nel più fondo del cuore
finiranno i baci belli e le carezze
date ai figli con la luce tenue e cara
delle sere d’inverno…
finiranno finiranno nel nulla
saranno niente di niente
parole svanite grida mai esistite
nel baratro delle generazioni perdute.
La raccolta inoltre sviluppa un vero e proprio dialogo tra i testi poetici e i contributi critici di apertura e di chiusura: vi è l’intrecciarsi dei versi orditi l’uno con l’altro, fitto di rimandi e richiami intertestuali, in una sequenza armonica ed essenziale, incalzante e dolce, in tono elegiaco, a cui le parole di accompagnamento donano forme e direzioni che il lettore saprà scoprire: dolcezza e musicalità rivestono la riflessione poetica di Ravizza, sempre lucida e flagrante e di coinvolgente sincerità.
La scrittura ravizziana è essenziale, sobria, asciutta, come la linea lombarda alla quale vuole rifarsi, ma questi tratti stilistici rimandano, più che a una aderenza letteraria, alla necessità di una affermazione chiara e consapevole: in Ravizza la poesia – la presa di parola – è un atto politico, una presa di coscienza, una scelta di campo (splendidi i versi, “la parola della poesia, sola/ possibile fioritura della forza”). Ma Ravizza poeta è anche uomo di filosofia, potremmo quasi dire che si transita dall’impegno, dall’“ingaggio” sartriano a una declinazione, in questa nuova raccolta, dell’essere per la morte heideggeriano.
L’ultimo percorso
Vedi? Tutto spinge senza interruzione
apre impeto e corrente verso un
compimento continuo che ti porta
lungo il sentiero ti porta inanella
i giorni via via uno dietro
l’altro dietro l’altro ed ecco:
non te ne eri accorto amico
mio non te ne eri accorto ma
il movimento ha preparato ha
costruito la fine del sentiero:
resterà forse solo un’eco flebile
l’impronta del sorriso il nascondere
lo stupore di essere spinto non aver
mai scelto nulla nemmeno l’ultimo
percorso nostro atto e movimento.
Ci troviamo dunque tra il massimo della presenza (coscienza, presa di parola, etica) e il massimo dell’assenza (il nulla, il vuoto, il disfarsi della materia). Ed esempio della distruttività totale è dato dalla bomba atomica: Ravizza dedica una poesia a Claude Robert Eatherly, pilota dell’Enola gay, che sganciò il 6 agosto 1945 una bomba atomica su Hiroshima. Eatherly, sconvolto dall’enormità dell’evento e delle morti e distruzioni provocate, in seguito rifiutò qualsiasi tipo di riconoscimento militare, tento più volte il suicidio e subì alcuni ricoveri psichiatrici, per poi, grazie al rapporto epistolare che sviluppò con il filosofo tedesco Günther Anders, a cui affida le proprie parole disperate, cercare una qualche forma di espiazione (per chi è interessato si rimanda a Günther Anders, L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica, Mimesis, Milano-Udine, 2016).
Vi è un altro aspetto che merita di essere sottolineato, nel libro infatti incontriamo alcuni versi a loro modo simili: “… senti/ l’indicibile bellezza di tutto ciò/ che per poco per poco forse/ esiste finché esisti tu”; “riempi d’essere questi campi/ queste intere distese di fiori/ che esisteranno finché esisterò io”; “io noi piccoli archi di tempo/ insistere ancora toccare ancora/ questo mondo che esisterà finché/ esisterò io pochi anni ancora”; “… tutto ci/ sarà finché ci sarò io, poi/ il niente che non ha parole”. Questi versi non sono, per così dire, dichiarazioni tautologiche, ma l’affermazione precisa e trasparente di una consapevole concretezza: la realtà materiale cambia e decade, e al soggetto, cui è dato il tratto temporale, spetta il ruolo della coscienza critica e il compito del cambiamento, in un orizzonte di speranza, come recitano altri versi: “… esistere è questo esistere/ – non lo sapevi? – è cogliere brevi/ istanti riempiti della felicità dell’agire”.
Due è intero
Oh sì è vero il vero è intero
passano passano a due insieme
sono le tante direzioni le canzoni
del presente l’azione che sta siede
e non trema oggi nel fare
decidere da quale parte stare
due le passioni due le mancanze
le capaci ambizioni di riempire
tradire il vuoto la consumata
Storia raccolta opaca densità
la chiarità poi solo poi
sintesi intera pomeriggio di
lanugine tempo sopra tempo
sera nel porto camminando
tra i brividi della brezza
la certezza che tutto guarda
ci guarda lo spettro intero
l’urlo di pietà sorpresa
castità del monto delle cose.
Scritto con ripetizioni, ritmi onomatopeici, versi frastagliati a simulare il tremore del titolo, le poesie esprimono in un continuum privo di interruzioni, se non nella versificazione tramite le frequenti spezzature-enjambements, la ricerca inesausta di un divenire, di uno sviluppo e l’accettazione di un limite temporale alla propria esperienza soggettiva: in modo sobrio e concreto, sempre equilibrato, ma senza rimpianti o recriminazioni, non c’è – nei versi di Ravizza – sentimentalismo e nemmeno disperazione, nel senso letterale di assenza di speranza, l’autore dedica al sé stesso che è uno sguardo tenero e delicato ma molto reale, privo di malinconie, oscurità, anzi addirittura luminoso. Esemplare in questo senso la poesia dove compare la figura del padre del poeta:
La canzone del mondo
La canzone del mondo l’idea l’idea
che crea scindere la forza ricordare
Milano là negli Anni Cinquanta
la strada che volevi attraversare
quella piscina oltre via Pacini
papà mi portavi al campo Giuriati
io ricordo domeniche grigie come
solo qui è triste ma familiare il grigio
la mia Milano “non buttare mai nulla
per terra tieni in mano e getta nella più
vicina pattumiera” quel rispetto quell’ordine
milanese mi insegnavi padre io bambino
correvo avanti e indietro avanti e indietro
cercavo di capire la vita ma sapevo
di non essere solo mi sapevo forte
mi sapevo vero entrando e uscendo
con la mia mano dalla tua mano.
Ecco la mano, quella che unisce il padre e il bambino, la stessa mano che unisce il Ravizza adulto al proprio tempo, alla sua memoria, e al futuro. Si direbbe il passaggio di testimone tra la generazione che nel secolo fragile e breve, il Novecento, ha praticato il cambiamento e la generazione successiva, che nel lacerarsi del nuovo millennio è obbligata – pena il nulla – a trovare le nuove forme della lotta. Per realizzare un futuro di uguaglianza e di giustizia, ciò che la generazione cui Ravizza appartiene non è ancora riuscita a realizzare.
La mano è quella che dà e muove la carezza, anch’essa parola molto citata nei versi di questa raccolta: contatto, legame, corpo, presenza, calore, vicinanza… carezza ovviamente non solo e non tanto in funzione protettiva o sentimentale, ma proprio come il gesto simbolico della trasmissione, del passaggio del testimone. Infanzia ed età adulta congiunte in un ponte ideale arrivano a costituire la totalità della vita. Totalità della vita e totalità della realtà, mistero del mondo: Filippo Ravizza propone al lettore una riflessione filosofica e politica, esistenziale e intima profonda, ricca, poliedrica dedicata all’umana umanità che va scomparendo. Assieme all’augurio e alla convinzione, per i bambini di oggi, che “… loro è il futuro/ loro sarà la giustizia, per loro/ verrà finalmente l’uguaglianza/ vera la sincera passione della/ appartenenza a una comune/ dimensione umana”.
Il tempo dato
Tanti sono i futuri possibili
sentieri percorribili oggi
fratello mio: qui sta la scelta
sta domanda e non vacilla
chiede ai popoli di alzarsi
alzare l’arco dell’azione
contro il sole generazione
della mutata Storia generazione
immersa a sua insaputa
nella fragilità levità
del nostro divenire
correre sentire il vento caldo
la carezza del cielo e della terra
la più antica pulsione che
ti dice che è il tempo ciò
che tu devi riempire il tempo
il tempo dato – l’ebbrezza
l’ebbrezza nell’esistere.
Filippo Ravizza è nato a Milano, ove risiede, nel 1951. Poeta e critico letterario, in poesia – prima del volume qui presentato – ha pubblicato: Le porte (Schema 1987); Vesti del pomeriggio (Campanotto 1995); Bambini delle onde (ivi 2000); Prigionieri del tempo (LietoColle 2005); Turista (ivi 2008); La quiete del mistero (Amici del Libro d’Artista 2012); Nel secolo fragile (La Vita Felice 2004); La coscienza del tempo (ivi 2017).
Ideatore, insieme al docente e critico letterario Gianmarco Gaspari, del ciclo di conferenze avviato nel 2011 “Lezioni della Storia – Dopo un secolo quale memoria”, dedicate, tra gli altri, a scrittori dell’Otto e Novecento (reperibili su youtube), è stato anche promotore, assieme a Franco Manzoni, del “Manifesto in difesa della lingua italiana” (attualmente inserito nel programma per il dottorato specialistico del Dipartimento di Italianistica all’Université Paris 8).