di Francesco Tomada
Pochi giorni fa assistevo ad uno scambio di pareri fra due cari amici, Maurizio Mattiuzza e Gianni Montieri: il primo sosteneva che la scrittura poetica è un atto privato che si fa pubblico, il secondo affermava che il “fare poesia” è sempre di per sé un atto politico. Al di là del piacere di condividere opinioni con persone estremamente competenti e per le quali provo affetto, il momento mi ritorna in mente oggi che ho in mano Ciao Cari (La Vita Felice), l’ultima raccolta di Stefano Guglielmin, perché forse in questo libro le due posizioni avrebbero potuto trovare una sintesi. Ciao cari è, prima di tutto, il libro più immediato e più privato che Guglielmin abbia scritto: per il dolore che traspare dalla prima sezione, per le dichiarazioni di affetto che l’autore scledense dissemina lungo il percorso, per la riconoscenza di uno scrittore e critico finissimo come Guglielmin verso molte delle persone che ha ammirato. E’ un libro di persone, appunto: la maggior parte di esse ha un nome, molte un cognome, altre invece no ma acquistano riconoscibilità nei propri gesti; è inoltre un libro di luoghi che sono Cartoline da casa e indirizzi.
Eppure al tempo stesso Ciao cari è anche – per citare il titolo della seconda sezione della raccolta – Il mondo visto da fuori. Il ricordo ed il dolore, che nella prima parte da interiori diventano pubblici, si trasformano in osservazione attenta, in fotogrammi in cui il mondo di Guglielmin si interseca con quello degli altri e ne coglie ossessioni, atteggiamenti, circostanze. Gli altri sono una galleria di anonimi – ed è qui, in alcuni passaggi, che il libro diventa quasi senza volerlo necessariamente politico, è una presa di posizione, è uno stare in un campo piuttosto che un altro – e poi una serie di personaggi del mondo dell’arte e della scrittura in modo più specifico. In questi Ritratti convivono e trovano sintesi il Guglielmin critico ed il Guglielmin poeta, che riconduce una moltitudine di figure e stimoli differenti ad incrociarsi nel vissuto di chi le ha studiate, lette, osservate con affetto e ammirazione. E mi torna in mente una definizione che lessi sull’Enciclopedia Treccani della parola “cultura”: L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo.
Ecco, prima ancora di parlare della bellezza della poesia contenuta in Ciao cari (che è un libro splendido), mi sembra che qui ci si avvicini moltissimo a quella definizione di cultura, e allora ha ragione chi, su un sito a noi molto caro, ha scritto che questa raccolta è un antidoto, cioè un personalissimo ricettario di sostanze verbali medicamentose e di formule apotropaiche che utilizzo come prevenzione, lenimento, cura disintossicante e terapia immunizzante nei confronti della monumentale, cialtronesca superfetazione poetica dilagante. Un antidoto da assumere a dosi elevate, con l’avvertenza che – a differenza delle medicine – un uso intensivo non comporta affatto, ma anzi allontana il rischio di quell’inaridimento interiore che è l’assuefazione. E in fondo anche questa è una scelta di campo.
(Alcuni testi della sezione “Ciao cari” erano già apparsi qui.)
***
In limine
Una vita, ti dico
la puoi scrivere soltanto, fingere
che ci sia stata, unendo i fuochi
tra poco e poco: stare in sala
d’attesa quando piove, né felice
né infelice, altro non c’è.
Però fuori si muore, mi dici.
Anche dentro si muore
ti dico. E si semina altra delizia
dentro e fuori, altra sporcizia.
DALLA SEZIONE “ANONIMI”
Anonimo (con l’Alzheimer)
Dov’è finito l’amore, il luminoso amore, se non
mi riconosci, se il tuo peso mi piega, se non
mi vedi e non mi tocchi o tocchi ma non me, se non
mi parli, dov’è l’amore, il misterioso amore, se non
resta niente da scoprire, da spostare, se non
l’ingombro del tuo corpo lasso, una morte
leggera e presta molto, una liberazione.
Anonima (adolescente)
Scava il suo piccolo fiotto nero:
quel pensiero tutto spigoli e fratte
d’essere spina o cosa da butto.
Soltanto questo, in effetti:
un cuore misto a rantolo e lutto
il buio che le brucia dentro
l’erba del suo minuscolo fiorire.
Anonimo (comunista)
Dici: “Noi compagni, loro fascisti”
come se il rosso e il nero non fosse un libro
di Stendhal ma l’ultima ragione dell’ascesa.
Lei infine bacia la bocca del morto, ignara
che la storia non muove all’amore e che il bene
striscia in ciascuna leva promessa. Si ciba
la larva della svolta di cui è sazio l’eroe
in principio del viaggio: lo dice bene Ortis
al Parini, forse non letto abbastanza.
Oppure è proprio questa la sfida: stare dalla parte
dell’uovo, chiamare rosso l’aprirsi del fiore, nero
il tempo da cui viene la scimmia, l’incomodo spinoso.
Anonimo (in epigrafe)
È sempre bella la foto in epigrafe:
nessun buio alle spalle e sorriso e
luce. Il futuro nel lampo degli occhi
mentre la morte sale dai piedi
là dove non guardiamo, non tocchiamo.
***
“Ciao Francesco. Tu sai bene che, senza la tua vicinanza, senza il tuo modo di essere poeta e persona, molte delle poesie di “Ciao cari” non sarebbero nate. Doppio grazie, dunque. E un abbraccio!”
Stefano Guglielmin
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ritrovo due fra le persone che conosco (seppur solo attraverso la scrittura) che nel tempo mi sono diventate care per diversi motivi.
Stefano per la sua partecipazione e la sempre appassionata ricerca di comunicazione con la quale instancabilmente si adopera nei confronti della poesia tutta.
Francesco, che fa dell’ascolto poesia, la quale entra in ogni cosa che scrive, siano esse lettere, confronti, presentazioni.
Grazie a entrambi. Dal cuore.
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Splendida anche la sezione “anonimi” !
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